Uomo geniale e strano, che gode forse d'una fama minore dei suoi meriti, è il fiorentino Anton Francesco Doni, nato nel 1513. Dopo un lungo e vario errare per l'Italia venne (bizzarro anche in questo) a trascorrere i suoi ultimi anni a Monselice, dove morì nel 1574. Dapprima egli fu frate dei Servi, col nome di fra Valerio, poi prete, indi si recò a Piacenza per studiarvi diritto. Nel 1544 volle cercar fortuna a Venezia, grandissimo centro della nuova industria tipografica (la stampa era in uso dii appena un secolo). Vi fiorivano allora i celebri Manuzio, non solo stampatori, ma anche eruditi ed umanisti di vaglia. Aldo Manuzio il Vecchio (morto nel 1515) aveva fondato nel 1490 la famosa stamperia, diffondendo volumi stupendi per caratteri tipografici nuovi e bellissimi e per correttezza dei testi. Suo degno continuatore fu il figlio Paolo, valente latinista (nato nel 1512) ed il nipote Aldo il Giovane, grande erudito anch'egli. Altri in Venezia seguirono il loro splendido esempio. Quello dei Manuzio però rimase il nome di gran lunga più celebre. I loro primi volumi (quelli di Aldo il Vecchio) hanno un prezzo favoloso, molto superiore al proverbiale « peso d'oro ».In tutto il mondo, dovunque esista cultura, dovunque ci siano biblioteche il nome dei Manuzio è illustre e venerato. Quando il Doni giunse a Venezia vi stava fiorendo Paolo Manuzio (Aldo il Vecchio, come vedemmo, era già morto e Aldo il Giovane doveva ancor nascere, essendo del 1547). Il Doni si combinò col tipografo Scotto per la stampa dei propri « Dialoghi sulla musica ». Più tardi, avendo appresa l'arte, tornò a Firenze e vi aperse una tipografia, ma nel 1548 lo ritroviamo a Venezia come editore ed autore presso il Giolito e il Marcolini. In questo periodo lavorò moltissimo, pubblicando gran quantità di opere proprie ed altrui, sia nella lingua originale quanto tradotte. Poi viaggiò, anzi si potrebbe dire vagò, qua e là, sempre lavorando a comporre libri e a farne stampare, partecipando ad accademie e controversie letterarie. Fierissime furono quelle col terribile Pietro Aretino, contro il quale pubblicò un libello intitolato « Il Terremoto » ..Scriveva con grande velocità, tanto da dire scherzosamente che le sue opere si leggevano prima che fossero scritte e si stampavano prima che fossero composte. Arche i titoli sono capricciosi (per esempio: la Zucca; la MuIa; i Pistolotti; i Marmi, ecc.). Il pubblico le accoglieva favorevolmente per la varietà delle dottrine e la vivacità dello stile. Le sue idee erano ardite tanto che qua e là e specialmente nei « Mondi» enunciò principi che lo accostano al moderno socialismo. Egli sembra anche precorrere Galileo nell' 'ammettere il sistema copernicano. (Si ricordi che Galileo nacque 91 anni dopo Copernico e morì 99 anni dopo di lui, Anche persone abbastanza colte, interrogate a bruciapelo, rispondono che Copernico e Galileo sono quasi contemporanei. Curioso errore di prospettiva temporale causato dallo stretto legame che unì nel campo scientifico l'insigne fisico matematico italiano all'astronomo polacco. Il Doni invece nacque solo 40 anni dopo Copernico e quindi più di mezzo secolo prima di Galileo). Ci sembra opportuno riportare qualche tratto d'un suo dialogo (fra l'Autore e l'Inquieto, che poi a noi pare sia sempre il Doni stesso). In un punto egli manifesta chiaramente il suo grande amore per i classici, comune del resto a tutti gli umanisti. « lo posi gran diligenza in veder chi mi sodisfaceva (sic) nel parlare, o i vivi o i morti; tanto che io mi ridussi a non poter ascoltare vivi, sì scioccamente mi pareva che parlassino: ne i morti sempre leggevo qualche cosa nuova, e ne i vivi udivo replicar mille volte mille cose vecchie». Il signor Inquieto dà più innanzi una graziosa descrizione del suo carattere: « Un servitor non mi contenta da due giorni in là; una fante mi viene a noia in una settimana; una femmina in un 'ora. Giocare, ho dato il mio maggiore, (cioè: ho tralasciato. E' una frase che deriva dal gioco stesso) perché mi pare una stoltizia espressa (sì come ho letto nelle vostre opere); perché, s'io piglio un o due dadi e gli tragga e ritragga, mi sazio; senza lo star tutto dì e tutta notte dando, pigliando, rimescolando e traendo. Cento volte l'anno fo mutar la tavola per casa dove io mangio, perché da due pasti in là, non posso stare m quel medesimo luogo; il letto non istà mai una settimana fermo; non ho stanza che sia buona per me più che per tre giorni o quattro: io paio una gatta che tramuti mucini [cioè: i suoi gattini] ogni dì; in fin nell'orto, in corte, sul terrazzo, a piè delle finestre, dentro all'uscio; e l 'ho fatto con le corde spesso appiccare in aere: de' letti posticci n 'ho fatti far diecimila a' miei giorni. Sono stato poi in bizzarria di provar tutte le vite degli uomini». E qui continua annoverando le varie professioni e mestieri che ha voluto provare (da frate in diversi ordini a campanaro, a custode di leoni). Insomma, con un po' di comica esagerazione, è proprio il carattere « inquieto» dell'autore. Tanto più fa maraviglia che un uomo di tal fatta abbia trovato la pace dei suoi ultimi anni proprio a Monselice. Il luogo di nascita può esser determinato da varie cause, ma nessuna, ovviamente, dipende dalla volontà di Lo stesso possiamo dire del Doni e di Monselice, luogo veramente delizioso, forse anche prescelto per la vicinanza ad Arquà. Certamente tutti i nostri Colli hanno una grazia che a noi sembra inconfondibile, ma la parte meridionale con Arquà, Monselice e la bella illustre, antichissima Este, aggiunge alla grazia dei luoghi la solennità di ricordi storici e di monumenti d'arte. |
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